Recovery e Politica di Coesione: ispirazione o sostituzione per il post 2027?

 

PNRR e Coesione - Photo credit: © European Union 2023 - Photographer: Christophe LicoppeIl modello del Recovery and Resilience Facility, cioè il dispositivo che sta alla base dei PNRR, ha conquistato un posto di primo piano nel dibattito sul futuro della Politica di Coesione. Dai lavori del gruppo di alto livello istituito dalla Commissione europea, fino agli incontri organizzati a Bruxelles durante la European Week of Regions and Cities, torna con insistenza la domanda su cosa dell'esperienza del PNRR si possa importare per rivitalizzare una Politica di Coesione in crisi di consensi e se i meccanismi sperimentati in risposta all'emergenza possano funzionare anche per finanziare politiche di sviluppo di lungo termine.

Fondi europei: al via il gruppo di alto livello sul futuro della Politica di Coesione

La nuova Politica di Coesione 2028-2034 potrebbe funzionare con un approccio completamente basato sui risultati? Quali sarebbero gli effetti sulla coesione economica, sociale e territoriale di vincolare i fondi europei alle performance di investimento e alle riforme realizzate? C'è il rischio che il modello PNRR sposti tutto il focus sulle aree urbane, sulle industrie colpite dalle decarbonizzazione, sugli investimenti in tecnologie innovative e dirompenti? E questo approccio andrebbe ad aumentare o a ridurre la distanza tra i territori più e meno sviluppati?

Sono domande ancora senza risposta, su cui il confronto durerà ancora a lungo. Per la commissaria alla Coesione e alle riforme Elisa Ferreira, intervenuta ieri al webinar “Recovery and Resilience Facility (RRF) and cohesion policy: what lessons can be learnt?”, organizzato dal Comitato delle Regioni nell'ambito della EU Week of Regions and Cities, la chiave è la capacità di trovare la giusta combinazione di equità ed efficienza.

Il modello Recovery insidia una Politica di Coesione in cerca di nuova linfa

Nata alla fine degli anni Ottanta nella sua forma strutturata in Programmi (anche se le sue origini risalgono al Trattato di Roma del 1957), al fine di perseguire la coesione territoriale, economica e sociale, la Politica di Coesione riflette un approccio regionalizzato, con un Accordo di partenariato negoziato dagli Stati membri e la Commissione europea per rispondere alle esigenze delle diverse regioni, privilegiando, in termini di sforzo finanziario, soprattutto quelle meno sviluppate e in alcuni casi, come in Italia, assegnando alle regioni stesse la gestione dei fondi europei.

Questo assetto è andato incontro negli ultimi anni a una progressiva messa in discussione sia nel merito che nel metodo - cioè sia relativamente agli obiettivi generali e ai criteri di individuazione delle regioni target dei fondi strutturali, che rispetto alle regole di funzionamento e gestione -, ora alimentata anche dall'esperienza del Recovery and Resilience Facility.

Le principali critiche sul merito riguardano i benefici parziali, se non del tutto deludenti, riscontrati in alcune aree target, come nelle regioni del Sud Italia che si confermano sempre tra le meno sviluppate, ma anche nelle regioni avanzate e in transizione retrocesse di categoria nel settennato 2021-2027 (Marche, Molise, Sardegna e Umbria). A rafforzare queste obiezioni concorre poi la visione secondo cui occorre direzionare maggiori fondi verso i nuovi fabbisogni delle regioni più sviluppate impegnate nella doppia transizione verde e digitale e alle prese con le conseguenze degli impegni di decarbonizzazione. Ci sono poi i rilievi su quanto sia opportuno continuare a destinare circa un terzo del Quadro finanziario pluriennale dell'Unione al tema della coesione, a fronte delle nuove sfide che l'UE ha aggiunto alla sua agenda e della difficoltà nell'assicurare risorse sufficienti al bilancio UE.

Tutte spinte, insomma, che convergono verso il ridimensionamento degli impegni finanziari per la riduzione delle disuguaglianze tra i territori, nonostante queste permangano sia tra gli Stati che all'interno delle stesse regioni europee.

Il Recovery and Resilience Facility prima e REPowerEU poi si inseriscono in questo quadro come esperimenti avviati con l'obiettivo immediato di rispondere a un'urgenza, ma con l'ambizione di contribuire anche nel più lungo termine ad una maggiore resilienza dell'Unione, puntando soprattutto sulle transizioni green e digitale e sull'autonomia strategica dell'UE. I tempi rapidi di implementazione hanno spinto a connotarli come strumenti basati su una gestione centralizzata dei fondi europei, non concertata con i territori, cui si aggiunge un approccio basato sulle performance. L'erogazione delle risorse è quindi vincolata alla realizzazione di riforme e investimenti, misurati in relazione a target quantitativi e qualitativi, e non più legata alla rendicontazione puntuale dei costi sostenuti, con l'obiettivo di semplificare le procedure, ma soprattutto di aumentare l'accountability e l'orientamento al risultato delle amministrazioni che gestiscono i fondi.

La possibilità di attingere a questo modello per ridare slancio a una Politica di Coesione in crisi di consensi si è imposto come uno dei temi chiave nel dibattito sul futuro dei fondi strutturali post 2027, con posizionamenti che vanno dall'idea di importare alcune caratteristiche del Recovery and Resilience Facility nella Politica di Coesione 2028-2034 fino al completo assorbimento dei fondi strutturali nel modello PNRR.

In che modo i meccanismi del RRF possono entrare nella Politica di Coesione?

Gli esperti del gruppo di alto livello messo insieme dalla Commissione europea, come anche il Parlamento UE e il Consiglio, si stanno interrogando proprio su questi temi. E, a Bruxelles, l'incontro promosso dal Comitato delle Regioni nell'ambito della Settimana europea della regioni e delle città ha fatto emergere diversi punti di interesse, ma anche remore rispetto alle posizioni più radicali di sostituzione della Coesione con il RRF.

Un'obiezione, di carattere generale, l'ha mossa la commissaria alla Coesione e alle riforme Elisa Ferreira: la Politica di Coesione, ha spiegato, è una politica di lunga data e siamo pronti ad ascoltare tutti i contributi che possono migliorarla senza porci in una posizione difesa, ma con la priorità di non abbandonare il cuore della Politica di Coesione. Se si ha un mercato interno, si ha anche una competizione che premia i più forti e c'è bisogno di compensarla con gli sforzi per la riduzione dei divari tra i territori, ha continuato. RRF e REPower rappresentano un punto di svolta nella storia della vita dell'Unione europea, ma nascono per rispondere rapidamente a una situazione di urgenza, ha aggiunto, specificando che per gli scopi di sviluppo servono invece progetti di lungo termine.

Più in dettaglio circa il contributo dell'esperienza RRF alla futura Politica di Coesione è entrata invece la responsabile della task force sul Meccanismo di ripresa e resilienza, Céline Gauer. Tra gli aspetti più interessanti da valutare ha citato il modello del finanziamento non più basato sui costi, ma sui risultati, una sorta di contratto con cui lo Stato membro si impegna con l'Unione europea a raggiungere precisi obiettivi per poter accedere ai fondi.

Un modello che - ha spiegato Martin Weber, direttore della Sezione II — Investimenti a favore della coesione, della crescita e dell’inclusione della Corte dei Conti - presenta molti vantaggi e, allo stesso tempo, se applicato alla Coesione, non è esente da rischi. Da una parte, infatti, con questo meccanismo il focus si sposta sul raggiungere qualcosa e ciò crea un effetto vincolante per le autorità impegnate a raggiungere i risultati previsti ed ha un impatto positivo sugli investimenti. Il che rende giusto pensare che anche nella Coesione ci sia bisogno di sviluppare maggiormente il quadro dei risultati.

Allo stesso tempo ci possono essere ritardi nell'attuazione, che possono bloccare l'erogazione di investimenti essenziali a livello locale, ha spiegato portando ad esempio proprio l'Italia. Legare i finanziamenti agli obiettivi significa aumentare ulteriormente le rigidità, mentre siamo consapevoli che il problema della Coesione è soprattutto come renderla più flessibile. In più, è difficile prevedere i risultati nel lungo termine, per le evoluzioni del quadro economico, degli scenari internazionali, delle dinamiche dei costi, ecc.

Un buon approccio, a suo avviso, sarebbe allora quello di puntare a rafforzare nella Politica di Coesione l'orientamento sulle performance imparando dall'esperienza del RRF, soprattutto una volta che il follow up sulla sua implementazione avrà permesso di identificare meglio gli ambiti della Coesione adeguati ai finanziamenti basati sui risultati. Sarebbe invece irrealistico, secondo Weber, pensare che si possa operare in tutti i settori e in tutti gli ambiti della Politica di Coesione secondo questo modello.

Anche il tema del collegamento tra erogazione dei fondi e realizzazione di riforme non è esente da ombre. Le autorità regionali e locali rischiano infatti di essere sanzionate e di non accedere ai fondi europei per gli errori dei governi centrali, mentre le condizionalità dovrebbero essere collegate a riforme su scala locale, ha detto il presidente della commissione Politica di coesione territoriale e bilancio dell'UE (COTER) del Comitato delle Regioni, Emil Boc.

A preoccupare Boc, però, è soprattutto il rischio di uno snaturamento del dna della Coesione. La Politica di Coesione non può essere deregionalizzata, non possiamo distruggere i meccanismi multilivello e l'approccio bottom up che la caratterizzano a vantaggio dell'approccio top down del Recovery and Resilience Facility, ha sottolineato.

Che il coinvolgimento degli attori locali nel Recovery non sia stato efficace è stato riconosciuto anche dal capo della task force RRF Céline Gauer. D'altra parte il Recovery e i PNRR sono stati una risposta rapida e innovativa a uno shock, mentre la Coesione serve a risolvere debolezze strutturali nel lungo termine, ha ricordato Lazlo Andor, membro del gruppo di specialisti di alto livello sul futuro della Politica di Coesione e segretario generale della Foundation for European Progressive Studies (FEPS).

Va considerato poi che l'attuazione dei PNRR è ancora in corso, con andamenti differenziati tra i paesi, e che ci vorrà del tempo per comprenderne i benefici sul lungo corso. Non abbiamo tutta la trasparenza necessaria per fare valutazioni complete e non siamo in grado di esaminarne l'impatto, ha ricordato la vicepresidente della commissione Regi del Parlamento europeo, Isabel Benjumea.

A febbraio la Commissione europea pubblicherà la sua prima valutazione di medio termine sul RRF. A quel punto sarà probabilmente più chiaro quali territori, settori e ambiti stiano beneficiando maggiormente dei fondi europei, che livello di addizionalità e valore aggiunto le risorse del Recovery stiano assicurando rispetto a quanto si potrebbe fare con ordinarie risorse nazionali e come stiano impattando sui divari esistenti. Un primo passo per capire davvero quanto dell'esperienza PNRR potrà ispirare i lavori per la Coesione 2028-2034.

Per approfondire: Fondi europei, il confronto sulla Politica di Coesione post 2027 entra nel vivo

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