Amodio, Città della Scienza: supporto alle start up contro la disoccupazione giovanile

 

Città della ScienzaE' solo una moda passeggera o tutte le iniziative a supporto della creazione di impresa possono davvero contrastare la disoccupazione giovanile? Ne abbiamo parlato con Luigi Amodio, Direttore generale della Fondazione IDIS-Città della Scienza.

Le ultime statistiche pubblicate non sembrano a favore dei provvedimenti per promuovere le start up varati negli ultimi 2 anni dal ministro Passera e dai suoi successori, perchè i giovani senza lavoro hanno raggiunto livelli record, ineguagliati dal 1977 e la tendenza non appare in grado di invertirsi.

Tuttavia ci sono strutture che fanno questo lavoro con convinzione e raggiungono pure discreti risultati, nonostante tutte le difficoltà della situazione economica generale. Lo abbiamo visto alla Città della Scienza, in occasione della Sme Week, evento organizzato dalla Commissione europea e dalla presidenza italiana del Consiglio dell'Unione per promuovere la crescita delle piccole e medie imprese - PMI.

L'ambiente creato nell'ex area industriale di Bagnoli (Napoli) è sicuramente favorevole. Nella città si trovano un centro scientifico e formativo, un incubatore e un centro congressuale, tutte strutture che facilitano il trasferimento di conoscenze e il networking.

120 sono le imprese nate presso l'incubatore con tassi di sopravvivenza abbastanza elevati, dichiara Valeria Fascione, responsabile del marketing strategico della Città, evidenziando che è aperto lo sportello per assegnare spazi a nuove start up e per il co-working.

Abbiamo chiesto al direttore generale della Fondazione IDIS - Città della Scienza Luigi Amodio cosa pensa sul tema e quali provvedimenti sono necessari per migliorare l'efficacia delle azioni a supporto delle nuove imprese.

Tutte le iniziative per le start up sono una moda passeggera o possono davvero contrastare la disoccupazione giovanile e creare sviluppo?

Di certo la crisi che attraversa l'Europa e il nostro Paese sta accentuando in molti l'idea che le start up siano una sorta di "ultima spiaggia" per contrastare il declino, generando anche qualche atteggiamento "modaiolo". In realtà, come ben sa chi si occupa di questi temi in modo serio, non ci sono start up che tengano senza una politica industriale di riferimento e soprattutto massicci investimenti pubblici che creino un humus favorevole al loro sviluppo e alla loro maturazione. La storia della Silicon Valley e di altri distretti di successo mi sembra confermarlo.

Comunque,  le  start  up sono senza alcun dubbio uno strumento fondamentale per  lo  sviluppo e per generare  nuova occupazione, non solo giovanile. Il nostro  Paese  è  sempre  stato  caratterizzato  da  una  notevole vivacità imprenditoriale.  L’elemento  nuovo, che sta introducendo una discontinuità positiva rispetto al passato è che – sia  pur con notevole ritardo rispetto a  quanto è avvenuto in altre parti del mondo – oggi finalmente si registra una grande attenzione collettiva, anche mediatica, sul tema della creazione di  impresa;  si sta diffondendo sempre di più una cultura imprenditoriale, specie  tra le nuove generazioni.

Questi processi in atto stanno iniettando una  tensione verso la qualità, l’innovazione, la crescita, l’aggregazione, l’internazionalizzazione,  ingredienti  fondamentali  per  lo  sviluppo del sistema italiano delle startup.

Quali provvedimenti a livello europeo e nazionale sarebbero ulteriormente necessari per rafforzare il settore?

Ritengo che sia molto importante creare una filiera virtuosa che, a partire dall'educazione dei più giovani, convinca che innovare è importante e fa bene all'economia e alla società. In questo senso in Italia c'è davvero molto da fare, a partire dal sistema formativo alla riforma della burocrazia.

L'Europa può sicuramente aiutare così come guardare ad altre esperienze che sono andate in questa direzione può essere sicuramente prezioso, ad esempio provando a integrare maggiormente le politiche della formazione con quelle della ricerca e dell'industria.

Il problema è che in Italia, negli ultimi anni, non si è lavorato in questa direzione e oggi quindi tutto è più complicato. Se a questo si aggiunge un "ethos" nazionale che talora sembra resistere a qualsiasi forma di innovazione - anche sociale oltre che organizzativa e tecnologica - il compito appare ancora più difficile. Ma molti ci credono ancora.

Sul piano più strettamente tecnico, occorrerebbe intervenire in maniera più incisiva  sull’accesso  alle fonti di finanziamento in fase di early stage, ad  esempio  cofinanziando  la costituzione di fondi di seed capital o – ad esempio  in  settori  come  quello  digitale,  in  cui il capitale iniziale richiesto  per avviare una startup è piuttosto contenuto – anche assegnando contributi  a fondo perduto con misure agili, poco burocratizzate e gestite da soggetti esperti.

Per promuovere le start up sui mercati internazionali quali azioni suggerisce e cosa fa al riguardo la Città della Scienza?

Gli strumenti sono abbastanza consolidati e sicuramente l'Unione europea aiuta, così come un uso appropriato di Internet. Certo, però, non è più pensabile che in azienda non si parli inglese...c'è bisogno di un pacchetto di competenze di base che non possono essere più tralasciate.

Su  questo  versante in pratica abbiamo previsto tre azioni specifiche:

  • una per  coprire  le  opportunità  derivanti  dal mercato Europeo attraverso il monitoraggio delle opportunità e bandi promossi dalla rete europea dell’EBN (European  Business  Network); 
  • un’altra  relativa al mercato cinese, Città della  Scienza  promuove infatti annualmente per conto del MIUR, del MISE e del  MAE il SIEE (China-Italy Exchange Event), luogo di incontro di imprese interessate  ad  internazionalizzare  il  proprio business;
  • infine verso il mercato  US  con  la  collaborazione  con  il MIT di Boston con particolare riguardo a tutto quello che si muove intorno alle industrie creative.

Le fiamme che hanno distrutto parte di Città della Scienza nel 2013 non hanno bruciato l'entusiasmo di chi ci lavora...

Assolutamente no. Lo dico senza retorica: dopo il primo comprensibile momento di choc, la solidarietà ricevuta e il messaggio di continuare sono stati la spinta per fare di più e meglio. Ed è quanto stiamo cercando di fare.

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