La Formazione Continua delle imprese

 
FormazioneIl tema del capitale umano è ormai entrato stabilmente nel dibattito politico europeo e internazionale ponendo la formazione come uno dei principali fattori di sviluppo economico e sociale. L’apprendimento permanente viene infatti definito negli orientamenti comunitari, quale elemento chiave per lo sviluppo e la promozione di una manodopera qualificata, formata ed adattabile.

In periodi di crisi economica, come quello attualmente in corso, diventa fondamentale utilizzare la leva formativa in un’ottica di medio-lungo periodo, per salvaguardare il capitale umano presente nel sistema produttivo e avviare un nuovo corso di sviluppo, assicurando nel contempo la competitività delle imprese e l’occupabilità delle persone.

Con l’attuale programmazione (2007-2013) si è inteso mettere a frutto l’esperienza pregressa attraverso un approccio lungimirante rispetto alle politiche messe in campo. La priorità “Competitività dei sistemi produttivi ed occupazione” del Quadro Strategico Nazionale (QSN) individua, quale leva strategica per accrescere la competitività del sistema produttivo, “la valorizzazione delle risorse umane e delle competenze, come presupposto per l’efficacia per le politiche di sviluppo”.

Anche quest’anno l’evidenza empirica mostra il permanere di una situazione di sottoinvestimento strutturale, non solo (o non tanto) da parte delle istituzioni e del sistema pubblico, ma anche (e soprattutto) da parte del sistema delle imprese. E’ quindi, a maggior ragione fondamentale rafforzare oggi il ruolo dell’investimento pubblico, in quanto il settore privato rischia di produrre un livello di formazione inferiore al livello socialmente efficiente, perché non è in grado, se lasciato a sé stesso, di garantire il livello ottimale di formazione. Il ‘nanismo’ delle imprese e la frammentazione del sistema produttivo, il dualismo del mercato del lavoro, la crisi dei distretti industriali rappresentano vecchi e nuovi elementi che frenano lo sviluppo della formazione.

Considerando il quinquennio 2004-2008, la quantità di risorse messe a bando dalle Regioni ammonta a circa 386 milioni, a fronte di una disponibilità di 464 milioni da parte del Ministero del Lavoro nello stesso periodo. L’ammontare delle risorse non ancora “utilizzate” (circa 78 milioni) non è eccessiva anche in considerazione del fatto che l’ultimo provvedimento 236/93 risale al 2007 e non tutte le Regioni hanno provveduto ad emanare il relativo Avviso. A questo si aggiunga che la quantità di risorse rese disponibili sui territori dalle Regioni è andata crescendo proprio negli ultimi due anni, attestandosi rispettivamente a 108 milioni per il 2007 e 132 per il 2008: tale concentrazione è da ricondursi sia alla consistenza oggettiva degli ultimi due provvedimenti del Ministero del Lavoro (che assommano complessivamente a circa 350 milioni di euro), sia alle differenti dinamiche di impegno operate a livello regionale.

Mentre la competizione cresce sempre più rapidamente e le graduatorie internazionali restituiscono un’immagine del Paese molto debole e contraddittoria, appare pertanto evidente come occorra concentrare l’attenzione sempre di più sui comportamenti formativi delle Piccole e medie imprese italiane, alla luce delle variabili chiave dell’attuale contesto competitivo.

Il primo dato che occorre evidenziare è il posizionamento dell’Italia nelle graduatorie internazionali: i ranking degli ultimi anni mostrano una attenzione insufficiente da parte delle imprese italiane verso le esigenze di sviluppo delle competenze del proprio personale, mentre negli altri paesi europei le imprese manifestano una crescente attenzione al capitale umano.

Tuttavia, è necessario mettere in evidenza che i dati relativi alla partecipazione, all’intensità e ai costi di corsi in realtà riguardano una platea ristretta di imprese (pari ad un terzo), a dimostrazione di come sembri esistere uno “zoccolo duro” oltre il quale la formazione non convince le imprese. Si può quindi ipotizzare che 1/3 delle imprese italiane (quelle che investono regolarmente in formazione) possiedano comportamenti in linea con le altre imprese europee, mentre ben 2/3 (le non formatrici) sembrano esserne ben lontane.

Emergono tra l’altro, il permanere delle differenze nei comportamenti e negli atteggiamenti verso la formazione continua tra grandi imprese e micro-piccole realtà aziendali (sono il 73% le grandi imprese che svolgono attività di formazione, contro il 17% delle micro-imprese).

Le differenze persistono nella partecipazione degli adulti occupati secondo il tipo di impresa, i territori di riferimento e i settori di appartenenza: maggiore è la propensione formativa nei “servizi”, in particolare nelle regioni del Nord-Est, seguite dal Nord-Ovest, con una netta distanza, quanto mai difficile da ridurre in tempi brevi, delle realtà collocate nel Mezzogiorno. Anche sul versante dei dipendenti formati permangono differenze e disomogeneità: nonostante il segnale positivo di un aumento di quasi tre punti percentuali dei dipendenti formati attraverso corsi strutturati (si passa dal 18,5% del 2005, al 21,2% del 2006), si evidenzia ancora uno scollamento tra le grandi imprese (che coinvolgono il 41,3% dell’organico aziendale) e le micro realtà aziendali (ferme all’8,8%).

In Italia il fenomeno, in conclusione, è connotato da ritardi e gap molto ampi rispetto ai valori medi e ai benchmark europei imputabili soprattutto al comportamento delle piccole e medie imprese, verso le quali le politiche pubbliche dovrebbero orientare la massima attenzione.
(a cura di Fabiana Rinaldi)

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