Fondi UE, Piano Juncker e QE di Draghi, tanti soldi che non sappiamo spendere

 

I piani europei per la crescita si scontrano con la burocrazia e scarse competenze che impediscono la realizzazione di investimenti.

Juncker

I presidenti della Commissione europea e della BCE Jean Claude Juncker e Mario Draghi hanno avviato piani per stimolare il rilancio degli investimenti e dei consumi. Questi sforzi saranno però vani se i Paesi membri non semplificheranno la vita ad enti e imprese.

Il piano Juncker presta il fianco agli scettici per l'entità del moltiplicatore delle risorse finanziarie disponibili, 21 miliardi di euro, che dovrebbero portare a circa 315 miliardi di investimenti.

L'ambizione di questo piano, tuttavia, è sostenuta dai bassi tassi di interesse e dalla liquidità generati dall'azione sui mercati della Banca Centrale Europea, che ne aumentano le probabilità di conseguire l'obiettivo.

I 21 miliardi sono messi a garanzia di finanziamenti erogati dalla BEI, e faranno da traino a altri prestiti del mercato bancario e al capitale privato.

Il Quantitative Easing di Mario Draghi dovrebbe poi sostenere anche la ripresa dei consumi, primo motore di stimolo degli investimenti. Per i cittadini è oggi più facile e meno costoso ottenere un prestito per cambiare la lavatrice. L'incremento della domanda dovrebbe poi stimolare investimenti delle imprese per aumentare la capacità produttiva e permettere loro di assumere personale.

Il condizionale, però, è d'obbligo: se un imprenditore che voglia ampliare un capannone continuerà a dover attendere diversi mesi prima di ottenere i necessari permessi, gli sforzi europei saranno vani.

Sugli investimenti del settore pubblico non c'è bisogno di stime del moltiplicatore dei problemi burocratici. L'evidenza è consolidata e la semplificazione ormai quasi un'utopia.

L'Europa ha poteri limitati, sono i governi che devono rapidamente migliorare la situazione. Se non sono possibili interventi sul carico fiscale, che potrebbero favorire una veloce ripresa dei consumi, sarebbe necessario almeno mettere gli imprenditori in condizione di lavorare con gli enti locali, per realizzare investimenti:

  • che soddisfino reali esigenze di sviluppo territoriale,
  • che garantiscano criteri di economicità e produttività,
  • che consentano di rimborsare i finanziamenti necessari ad attivarli.

I contratti di partenariato pubblico-privato cominciano ad avere un ruolo importante in Italia (dati Cresme) ma solo per investimenti di limitate dimensioni. Che siano stipulati per opere o per servizi, vale comunque la pena di utilizzarli sempre di più. Il governo si adopera nello sfornare linee guida e contratti standard, che diventano però inutili quando mancano le autorizzazioni o le opere sono complesse e di dimensioni rilevanti.

Entra quindi in gioco il fattore culturale, la radice del problema. Quelli diretti ad aumentare le competenze tecniche e amministrative, tanto nel pubblico che nel privato, sono investimenti da realizzare subito, anche sfruttando i fondi strutturali a disposizione.

Il problema ormai non è la scarsità di risorse finanziarie. Tra fondi Ue 2007-2013 ancora non spesi, la nuova programmazione 2014-2020, il Fondo di di Sviluppo e Coesione con circa 40 miliardi di euro, largamente inutilizzato da anni senza che nessuno lo racconti nonostante la grave crisi economica da fronteggiare, i finanziamenti del piano Juncker e la liquidità generata dalla BCE, non si dica più, per favore, che non ci sono i soldi.

C'è solo tanta incapacità di spenderli, soprattutto di spenderli bene, cominciando a semplificare e a creare le competenze per aumentare la qualità e fattibilità dei progetti.

Author: European Council / photo on flickr

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