Bilancio europeo 2021-2027, la UE risveglia la politica italiana

 

David Sassoli - photo credit Parlamento europeoE’ stato l’Ufficio italiano del Parlamento Europeo insieme con la Rappresentanza della Commissione europea e la Regione Lazio la scorsa settimana a ricordare - con convegno temporalmente perfetto - a Governo, politici e stakeholder che il negoziato sul prossimo Quadro Finanziario Pluriennale della UE è entrato nella fase più critica, quella in cui si deve stabilire l’ammontare delle risorse a disposizione per il settennato e trovare accordo sulla PAC e Politica di coesione, che insieme valgono circa il 64 percento del QFP nella proposta della Commissione europea.

L’attenzione al tema è stata particolarmente scarsa negli ultimi 2 anni, basti ricordare che le principali diatribe con Bruxelles hanno riguardato di fatto solo la legge di bilancio dello scorso anno (primo Governo Conte) e l’inutile e alquanto pretestuosa polemica sul Fondo salvastati.

Un Paese con gravi problemi di crescita economica avrebbe dovuto riservare ben altri sforzi al negoziato che definisce le strategie finanziarie per lo sviluppo dell’Unione nei prossimi sette anni e che è partito nel 2017 con la pubblicazione da parte della Commissione europea del Libro bianco sul futuro della UE.

Alleanze e ricerca di posizioni condivise non sono cose che si improvvisano in una Europa che si trova ad affrontare molte più emergenze rispetto al precedente settennato, bene evidenziate da Mario Monti in recente editoriale: “il terrorismo, le massicce migrazioni, il risorto nazionalismo di Putin, la Turchia assertiva di Erdogan, Xi Jinping con la Via della Seta e in lizza per la supremazia tecnologica, gli Stati Uniti con Trump ostile all’integrazione europea e dubbioso sulla Nato, nonché il Regno Unito che lascia l’Ue…”

Senza dimenticare peraltro il crescente populismo, la disuguaglianza sociale e il problema ambientale, per cui la nuova Commissione europea ha infatti varato il nuovo Green Deal, che al momento non ha ancora particolari risorse finanziarie aggiuntive rispetto agli obiettivi di sostenibilità necessari a fronteggiare il surriscaldamento globale.

I politici, gli esponenti di enti e associazioni che rappresentano il sistema produttivo del nostro Paese possono francamente dire di aver contribuito adeguatamente alla redazione della proposta di bilancio della Commissione Europea e dei relativi documenti di programmazione, pubblicati nel maggio del 2018 e punto di partenza del negoziato? Quali obiettivi si erano prefissati e sono stati in parte almeno raggiunti, oppure lo saranno? Le dichiarazioni ad esempio più volte sentite - in vari convegni - da esponenti di associazioni imprenditoriali di avere una sola procedura nazionale per la gestione dei fondi strutturali nelle varie regioni (lasciando comunque a queste le decisioni sui quali interventi preferire) si sono mai trasformate in una chiara, condivisa e formale richiesta?

Qualcosa è stato fatto ma le risposte definitive a queste domande arriveranno solo con l’approvazione del bilancio UE. I tempi sono stretti ma consentono ancora margini di manovra. Il presidente del Parlamento europeo Sassoli ha bene evidenziato al convegno l’importanza del momento e che la dotazione finanziaria dovrà essere all’altezza delle sfide che la UE dovrà fronteggiare.

La proposta della Commissione europea prevede un bilancio con circa 1.280mld di euro, con un contributo da parte degli Stati membri pari all’1,11% del Reddito nazionale lordo; gli europarlamentari puntano con forza all’1,3%, con il ministro Gualtieri favorevole a questa quota, insieme alla necessità di varare Web tax e Carbon tax europee.

Su queste imposizioni fiscali sembrano più le lobby, probabilmente le più potenti ed influenti al mondo, piuttosto che le complessità della materia tributaria internazionale ad impedire un accordo. Non andrebbe dimenticata pure una tassa sui proventi del settore finanziario, anche questo molto influente politicamente e soggetto alle canoniche perplessità derivanti dall’impatto sui prezzi dei titoli pubblici emessi da Stati con alto indebitamento, come quello del nostro Paese.

Questa tassa però andrebbe soprattutto a contrastare il fenomeno della cosiddetta “finanziarizzazione spaventosa dell’economia, che significa che il settore finanziario è diventato più importante dell’economia reale” (cfr. l’economista Marianna Mazzucato).

Mentre le strade per applicare nuove tasse appaiono lunghe quelle per attirare la finanza verso l’economia reale si delineano in modo più definito. Infatti il piano Juncker è confermato nel prossimo settennato sotto il nome di InvestEU. Semplificando, si tratta in pratica di un grande fondo di garanzia per attirare capitali privati nella realizzazione di opere.

La vera novità emersa dalle dichiarazioni del Presidente Sassoli è proprio in questa direzione: in autunno si svolgerà una “Conferenza sui finanziamenti privati per la transizione ecologica” con l’obiettivo di definire le strategie ed il quadro regolatorio per portare la finanza a fare investimenti che supportino la sostenibilità ambientale.

Se non si possono ridurre le tasse sul lavoro mettendole ai finanzieri almeno li si induca ad aumentare considerevolmente gli investimenti nell’economia reale, partendo da quella che garantirà le neutralità climatica.

Le idee ci sono, ora serve una buona, rapida e coesa esecuzione. Il resto del mondo corre, alcune grandi economie non hanno negoziati da fare o non sono particolarmente complessi, pertanto i Governi europei capiscano che ormai è necessario fare in fretta affinché la UE mantenga i suoi primati e la competitività internazionale della sua economia.

> Resoconto del convegno del 7 febbraio 2020: Bilancio UE 2021-2027, Italia e PE chiedono risorse adeguate

photo credit: Parlamento europeo

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