Vaccini, i 27 accelerano sulla produzione. Biden, aiuti appena possibile

 

Produzione vaccini Covid in ItaliaI vaccini al centro del Consiglio europeo del 25 marzo, a cui ha partecipato come ospite straordinario anche il presidente USA Biden, pronto a dare una mano “appena possibile”. I 27, tra alcuni litigi, hanno confermato la linea: aumento della produzione, niente export per le Big Pharma inadempienti e criterio della “popolazione” per la distribuzione delle dosi. 

HERA Incubator e aumento produzione vaccini: così l’UE contrasta le varianti del Covid

Come già evidenziato dal Piano UE HERA Incubator, oltre al contrasto alle varianti del Covid, in questo momento la partita principale sui vaccini si gioca sull’aumento delle dosi a disposizione dei cittadini europei. Un risultato raggiungibile sia favorendo le partnership tra le case farmaceutiche che detengono i brevetti e le altre che li possono produrre nei propri stabilimenti, sia facendo rispettare la consegna delle dosi di vaccino previste dai contratti tra l’UE e le Big Pharma.

Una partita, insomma, in cui i livelli nazionale ed europeo, pubblico e privato si intersecano fortemente e che vede tutti impegnati in una corsa contro il tempo per fermare il virus (e le sue varianti) e tornare alla normalità, salvando anche l’economia. Per questo i vaccini hanno tenuto banco anche durante il Consiglio europeo del 25 marzo dove però sono emersi alcuni distinguo.

Più nello specifico a livello europeo il compito di aumentare i livelli di produzione dei vaccini è stato assegnato al commissario Thierry Breton. Il gioco di sponda con gli Stati membri riguarda, però, anche il rispetto dei contratti d'acquisto da parte delle Big Pharma tramite l’ok alle decisioni nazionali di bloccare le esportazioni delle dosi prodotte in UE, come fatto a inizio marzo dall’Italia con AstraZeneca.

Finora quello italiano è stato l’unico caso, ma con la stretta decisa il 24 marzo sul Meccanismo per l’export dei vaccini, i casi sono destinati ad aumentare. D’ora in avanti, infatti, i vaccini prodotti nell'Unione saranno esportati solo se il paese destinatario non limita le proprie esportazioni verso l'Europa e se la sua situazione epidemiologica non è migliore di quella dei paesi UE. Un giro di vite che si colloca a metà strada tra l’impostazione iniziale del Meccanismo e la minaccia di Bruxelles di applicare quell’articolo 122 del Trattato che consente l'adozione di "misure adeguate (...) in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell'approvvigionamento di determinati prodotti"

A livello italiano, invece, la partita è gestita dal MISE (per quel che riguarda l’aumento delle capacità di produzione in Italia dei vaccini) e dal MAECI (per quanto concerne l’applicazione del Meccanismo europeo di controllo dell’export dei vaccini). Su tutto vigila il premier Mario Draghi, promotore in Europa di una linea più ferma con le Big Pharma che non rispettano i contratti e fautore di un maggiore contributo italiano per la produzione dei vaccini, come rimarcato anche durante il discorso in Senato il 24 marzo. A Roma, infatti, il governo è al lavoro per aumentare la capacità produttiva italiana su questo fronte, grazie anche ai 200 milioni del decreto Sostegni per sostenere la “riconversione industriale del settore biofarmaceutico verso la produzione di nuovi farmaci e vaccini”.

Cosa (non) ha deciso il Consiglio europeo del 25 marzo sui vaccini

Il Vertice europeo del 25 marzo ha confermato che la priorità resta l’aumento della produzione dei vaccini. Per il resto, la Dichiarazione di fine incontro mostra, tra le righe, i distinguo emersi su vari temi. Tra questi, lo stop all’export dei vaccini per le Big Pharma inadempienti. Se infatti tutti i paesi concordano sulla necessità di pretendere il rispetto dei contratti, il livello di rigore da applicare vede posizioni diverse. A non essere del tutto convinti su una stretta troppo forte sarebbero soprattutto Belgio, Olanda, Svezia, Danimarca e Irlanda, preoccupati delle conseguenze sugli approvvigionamenti extra UE di sostanze necessarie alla produzione dei vaccini, soprattutto quelle che arrivano da Londra. Nella Dichiarazione, quindi, i 27 hanno sottolineato “l'importanza della trasparenza nonché dell'utilizzo di autorizzazioni di esportazione”, riconoscendo però ”l'importanza delle catene globali del valore” e ribadendo “che le aziende devono garantire la prevedibilità della loro produzione di vaccini e rispettare i termini di consegna contrattuali”.

Il secondo punto di discussione è stato invece il criterio “popolazione” usato per il riparto delle dosi che secondo l’Austria avrebbe danneggiato i paesi più piccoli. Per questo Vienna vorrebbe più dosi (di quelle spettanti) delle 10 milioni di fiale in arrivo da Pfizer-BioNTech. Le lamentele austriache deriverebbero, in realtà, più da critiche interne che dai numeri, visto che le vaccinazioni nel paese sono più alte della media UE. Ma nella Dichiarazione i 27 tendono un ramoscello d’ulivo a Vienna. Se da un lato, infatti, viene confermato il criterio della popolazione, dall’altro i 27 invitano il Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l'UE, “ad affrontare la questione della velocità di consegna dei vaccini nel momento in cui si assegneranno i 10 milioni di dosi accelerate di BioNTech-Pfizer nel secondo trimestre del 2021 in uno spirito di solidarietà”.   

Last but no least, l’intervento del presidente americano Joe Biden. L'allegato ritrovato, però, gela in parte le speranze europee di un aiuto sui vaccini. L'inquilino della Casa Bianca, infatti, conferma che “gli Stati Uniti condivideranno i vaccini”, ma non “appena potranno”. Meno, probabilmente, di quanto sperato dall’UE, ma sufficiente a far rialzare le Borse europee che, come segnala l’ANSA, il giorno dopo le dichiarazioni di Biden hanno aperto in salita.

Ma cosa significa “aumentare la produzione di vaccini”?

La strategia europea per incrementare il numero di dosi disponibili per vaccinare i 500 milioni di europei, consiste soprattutto nell’aumentare il numero di fabbriche europee che possono produrre i vaccini finora approvati e cioè quelli di Pfizer-BioNTech, AstraZeneca e Moderna, a cui si sta per aggiungere anche Johnson & Johnson.

I pilastri su cui si basa questa strategia sono quindi essenzialmente due: da un lato, la condivisione del brevetto del vaccino da parte delle aziende che lo detengono (appunto Pfizer-BioNTech, AstraZeneca, Moderna e Johnson & Johnson) con le altre aziende che sono disponibili a produrlo nei propri stabilimenti. Dall’altro lato, invece, proprio l’identificazione degli stabilimenti che hanno la capacità e i macchinari per produrre il vaccino conto terzi.   

La produzione dei vaccini è infatti un processo lungo e difficile, composto da numerose fasi. Semplificando molto, se ne possono identificare sostanzialmente due: la prima (e la più complessa) è la produzione del vaccino vero e proprio. La seconda, invece, è la fase dell’infialamento (quella che in gergo viene chiamata “fill and finish”) e che è più semplice rispetto alla prima.

Produzione vaccini in Italia, Draghi: serve filiera immune da shock esterni

La risposta a quale possa essere il contributo italiano alla richiesta UE di aumentare la produzione delle dosi di vaccino in Europa è in capo al MISE che sta mettendo a punto un “programma industriale nazionale, diretto ad aumentare la produzione dei vaccini”, ha spiegato il ministro Giorgetti durante un Question Time alla Camera il 3 marzo. “In tale ottica - ha illustrato Giorgetti - si sta procedendo a individuare le aziende che, dal punto di vista infrastrutturale e tecnologico, potrebbero essere in grado in un ristretto arco temporale, di produrre vaccini in Italia anche sulla base di accordi commerciali con le multinazionali detentrici dei brevetti”. 

Per far ciò gli strumenti che il governo sta mettendo in campo sono diversi. Il primo step concreto, in tal senso, è rappresentato dal decreto Sostegni dove figurano 200 milioni destinati al settore biofarmaceutico. L’articolo 20 (comma 7) del dl 41-2021, prevede infatti delle “agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati” con l’obiettivo “di favorire il potenziamento della ricerca e la riconversione industriale del settore biofarmaceutico verso la produzione di nuovi farmaci e vaccini per fronteggiare in ambito nazionale le patologie infettive emergenti, oltre a quelle più diffuse, anche attraverso la realizzazione di poli di alta specializzazione”. Le operazioni saranno realizzate ricorrendo ai contratti di sviluppo, come del resto aveva già anticipato Giorgetti definendo questi contratti uno “strumento idoneo a garantire il finanziamento delle attività della ricerca, anche applicata”.

Per quanto riguarda invece l’identificazione degli stabilimenti in cui avviare la produzione del vaccino, la partita si gioca al tavolo MISE-Farmindustria-AIFA-Invitalia dove, nelle scorse settimane, sarebbe emerso che l’Italia potrebbe contribuire sia alla fase di produzione dei vaccini, sia a quella dell’infialamento. Da un lato, infatti, “è stata verificata la disponibilità di alcune aziende a produrre i bulk, ossia il principio attivo e gli altri componenti del vaccino anti Covid, perché già dotate, o in grado di farlo a breve, dei necessari bioreattori e fermentatori” (ha spiegato il MISE in una nota rilasciata dopo la riunione del 3 marzo), aggiungendo anche che “la produzione potrà avvenire a conclusione dell’iter autorizzativo da parte delle autorità competenti, in un tempo stimato di 4/6 mesi”. Dall’altro è stato “appurato che ci sono le condizioni immediate per avviare la fase dell’infialamento e finitura. Grazie all’eccellenza produttiva dell’Italia, infatti, sono già pronte a partire molte aziende”.

Il governo italiano è quindi al lavoro su piani che guardano sia al breve, sia al lungo periodo. A ribadirlo è stato in qualche modo lo stesso premier durante la comunicazione del 24 marzo al Senato. “La pandemia rende evidente l'opportunità di investire sulla capacità produttiva di vaccini in Europa. Dobbiamo costruire una filiera che non sia vulnerabile rispetto agli shock e alle decisioni che vengono dall'esterno”, ha spiegato infatti Draghi,  aggiungendo che sul fronte nazionale “abbiamo già iniziato a stabilire accordi di partnership con case internazionali per la produzione in Italia."   

Verso il superamento dei limiti produttivi italiani sui vaccini

Grazie agli sforzi congiunti di tutte le componenti al tavolo sembra quindi che l’Italia si stia avviando a superare i limiti strutturali finora presenti, legati soprattutto alla scarsità di bioreattori, i macchinari essenziali per la produzione del vaccino.

Un limite che ancora qualche settimana fa sembrava far presagire un ruolo italiano limitato alla fase a valle della produzione, quella cioè dell’infialamento dove le imprese che già vi operano sono numerose. 

In queste settimane, però, le cose potrebbero essere cambiate per un insieme di motivi. Tra questi la disponibilità delle aziende italiane della filiera delle macchine che lavorano a pressione, rappresentate dall’AIPE, che hanno annunciato la capacità di fabbricare bioreattori in tempi brevi, incidendo positivamente su uno dei maggiori problemi per la produzione dei sieri.

Bruxelles a caccia di nuovi impianti per produrre i vaccini in Europa. L’Italia in lista con i suoi impianti

Come si è visto, però, la partita di aumentare il numero di dosi di vaccino prodotte si gioca sia a livello nazionale (con l'individuazione dei siti produttivi adeguati), sia a livello europeo. A Bruxelles infatti il commissario Thierry Breton, oltre a mettere a sistema le industrie presenti nei diversi Stati, si sta occupando anche della disponibilità delle multinazionali che detengono i brevetti a procedere con il trasferimento tecnologico.

Fino a inizio marzo gli impianti europei coinvolti nella filiera dei vaccini erano poco più di quaranta. Ma il numero è in costante aggiornamento, e presto nell’elenco potrebbero figurare anche siti italiani.  

La conferma emerge dall’incontro del 4 marzo tra Giorgetti e Breton. “Per definire quali impianti potranno partecipare alla politica europea, abbiamo previsto un meccanismo che permette alle aziende che desiderano collaborare, di avere un accesso al brevetto. Il mio ruolo è proprio quello di facilitare questo processo, per il quale”, ha spiegato infatti il commissario “in Italia sono già in corso dei dialoghi tra queste aziende”.

Linea dura contro le Big Pharma inadempienti. Sul tavolo anche l'articolo 122

Un altro fronte su cui è al lavoro Bruxelles è quello di far rispettare i contratti di acquisto anticipato dei vaccini tra l'UE e le Big Pharma, penalizzando le farmaceutiche inadempienti. 

Il tema era uscito con forza durante il vertice UE del 25 febbraio e a porlo era stato proprio Mario Draghi, incassando l’appoggio degli altri leader europei. Durante il Vertice, infatti, Draghi ha chiesto l’adozione, da parte della Commissione, di un approccio più rigido nell'applicazione del controllo dell'export per quelle aziende farmaceutiche che producono i vaccini anche in Europa ma che non rispettano i patti sulle dosi di vaccino destinate all’UE. “Non sarà un blocco dell'export”, aveva spiegato il premier francese Emmanuel Macron “perché questo comporterebbe una frammentazione della produzione mondiale". Ma se la situazione non dovesse migliorare, non si escluderebbero comunque azioni più forti, inclusa l’applicazione dei regolamenti europei e dell'articolo 122 del Trattato che consente il blocco all'export in casi di carenza di beni essenziali per gli Stati membri, come sarebbero a quel punto anche i vaccini.

A distanza di un mese, l’opzione dell’articolo 122 resta ancora pienamente sul tavolo e viene citata apertamente dai vertici europei. "Non si tratta di vietare l'export di vaccini, ma fare in modo che le aziende onorino i loro contratti con l'Ue, per fare in modo che i 27 ricevano le dosi previste. Serve reciprocità", ha spiegato infatti il portavoce della Commissione Ue, Eric Mamer. "L'articolo 122 - ha aggiunto - è previsto dai trattati. Von der Leyen ha detto che niente è fuori dal tavolo" ed è legittimo che anche questo "possa far parte degli strumenti per cercare" una soluzione affinché le aziende onorino i loro contratti”. 

E proprio dalla numero uno della Commissione europea arriva il monito diretto ad AstraZeneca, la Big Pharma che meno sta rispettando gli impegni sulla consegna delle dosi pattuite. In un'intervista al gruppo media tedesco Funke, infatti, von der Leyen ha affermato: “abbiamo la possibilità di vietare un'esportazione pianificata. Questo è il messaggio ad AstraZeneca: rispetta il tuo contratto con l'Europa prima di iniziare a consegnare in altri paesi".  

Stretta sul Meccanismo di controllo dell’export dei vaccini

Mentre finora l’impiego dell'articolo 122 resta un’opzione, Bruxelles rimpicciolisce invece le maglie tramite cui possono essere esportati i vaccini prodotti negli stabilimenti UE, aggiungendo due nuovi criteri al “Meccanismo di trasparenza e autorizzazione per le esportazioni di vaccini anti Covid-19” varato a fine gennaio.

Il Meccanismo, lo ricordiamo, è quello strumento che prevede l’obbligo per le imprese coinvolte nella produzione dei vaccini oggetto di Accordi preliminari di acquisto (APA), di richiedere un'autorizzazione preliminare per poter esportare le dosi al di fuori dell’Unione europea. Finora Bruxelles aveva dato l’ok a tutte le 380 richieste di esportazione, ad eccezione di quella di AstraZeneca per le dosi infilate ad Anagni e destinate all’Australia.

Ma adesso, con i nuovi criteri introdotti il 24 marzo, lo stop all’export dovrebbe aumentare. Dall’Olanda ad esempio il premier Mark Rutte ha già dichiarato che i Paesi Bassi sono pronti a "bloccare" l'esportazione di vaccini "se la Commissione UE lo richiede". Il giro di vite deciso il 24 marzo prevede sia l’aumento dei paesi destinatari delle dosi per i quali bisogna chiedere il permesso, sia l’introduzione di due nuovi criteri:

  • La reciprocità (per capire se il paese di destinazione limita, per legge o con altri mezzi, le proprie esportazioni di vaccini o delle relative materie prime);
  • La proporzionalità (per vedere se le condizioni vigenti nel paese di destinazione sono migliori o peggiori di quelle dell'UE, in particolare per quanto riguarda la situazione epidemiologica, il tasso di vaccinazione e l'accesso ai vaccini).

Dato che il Meccanismo si applica solo alle farmaceutiche che hanno firmato un APA con l’UE, per capire fino in fondo la ratio della misura, bisogna però sapere esattamente cosa sono gli Accordi preliminari di acquisto. Lo strumento funziona in questo modo. Come contropartita del diritto di acquistare un determinato numero di dosi di vaccino in un dato periodo, la Commissione finanzia, attraverso appunto un APA, una parte dei costi iniziali sostenuti dai produttori di vaccini. I finanziamenti erogati sono considerati un acconto sui vaccini che saranno effettivamente acquistati dagli Stati membri. In tale contesto, quindi, gli APA costituiscono un investimento in anticipo, diretto a ridurre il rischio, a fronte di un impegno vincolante da parte dell'impresa a produrre in anticipo, anche prima che il vaccino ottenga l'autorizzazione all'immissione in commercio. Detto in modo più semplice, nei mesi passati Bruxelles ha speso miliardi per sostenere la ricerca e lo sviluppo dei vaccini che sono ora in circolazione, pagando in anticipo le dosi che adesso, chiaramente, si aspetta di ricevere nelle quantità e nelle scadenze pattuite.  

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Infine, oltre ad aumentare i livelli di produzione e fare la voce grossa con le Big Pharma, Bruxelles sta lavorando anche su un altro strumento utile per incrementare il numero delle dosi necessarie.

Si tratta della possibilità di accelerare l'autorizzazione dei vaccini Covid-19 adattati alle varianti. "Stiamo consentendo all'EMA di approvare più velocemente vaccini aggiornati per affrontare nuove varianti”, ha dichiarato infatti Ursula Von der Leyen, spiegando che “l'approvazione più rapida significa più vaccini in circolazione e più europei protetti dal virus".

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